Siamo già oltre, questa è l’Inter

Non c’è bisogno di infierire. Anzi, non va fatto. Siamo già oltre. C’è un arcobaleno che lega la pioggia di Parma a quella di oggi alla Pinetina, passando per quella fatale a Mazzarri contro il Verona. E’ il sorriso cauto e trattenuto di Mancini, abile sin dalla prima conferenza stampa a non farsi fare gol, capace ancora di un ottimo dribbling di fronte alla doverosa domanda su Calciopoli, fatta guarda caso da una vera interista come Sabine Bertagna, e non dai consueti avvoltoi della nostra squadra.

Entusiasmo, vincere, giovani, fare presto, lavorare, ascoltare i giocatori, sentire i tifosi, tornare in alto, puntare al posto che ci compete. Parole come panacea dopo mesi e mesi di frustrazioni e di incredulità, per chi, come tanti di noi, non riusciva a capacitarsi del perché di una situazione sempre più inestricabile e disastrosa, ben al di là dei risultati.

Era emozionato, non c’è dubbio. Ma l’esperienza inglese lo ha leggermente cambiato. Ha tenuto le mani basse per tutto il tempo, mai un gesto teatrale. Non ha toccato la bottiglietta dell’acqua minerale sopravvissuta ai denti del suo predecessore. Ha risposto alle domande, forse persino stupito che fossero così ovvie, nella gran parte. Mi sarebbe piaciuto che accanto a lui, al posto di Fassone, sedesse il vicepresidente ad honorem Javier Zanetti, che era lì, in prima fila, accanto a Piero Ausilio, ma quasi dimesso, con un maglione sportivo sotto la giacca.

Sono certo che la maglia 226 venderà tantissimo. Sarà il primo simbolico rientro dell’investimento del presidente Thohir, che ha spiazzato tutti, riconquistando, in poche ore, la fiducia e la simpatia che si stavano scolorando per il perdurare di una incomprensibile ostinazione a non toccare nulla. Torneranno tutti allo stadio, scommetto che persino la partita contro il Dnipro vedrà improvvisamente San Siro colorata di nerazzurro. Ma è certo che il derby, a questo punto, lo vivremo tutti come è sempre accaduto, con l’adrenalina, l’ansia, la preoccupazione, la speranza, la passione che ci vuole, che ci appartiene.

Non è una operazione nostalgia. Lo ha detto subito, ridendo, Roberto Mancini: “Ho trovato molti qui un po’ invecchiati”. Già, il tempo non torna indietro. E con lui abbiamo a volte imprecato, magari per i suoi dubbi amletici a metà partita, per i cambi che ci lasciavano perplessi. Ma abbiamo anche gioito e tanto, perché riusciva a caricare i suoi ragazzi a molla, sin dal primo minuto, e ci ha offerto spesso un bel calcio, un gioco moderno e a tratti spettacolare, con quel modulo da Inter che è nella storia di questa squadra, e che forse tornerà a metterci d’accordo, almeno per un po’.

Ha speso parole giuste, definitive, per Moratti, chiudendo un cerchio nel segno della riconoscenza e della stima. Ne ha parlato accanto al nuovo Ceo Bolingbroke, senza problemi, senza piaggeria nei confronti del nuovo staff interista, anzi, dando la sensazione che sia stato proprio il progetto a convincerlo, e di questo progetto, non c’è dubbio, gli artefici sono i nuovi padroni della società. Resta l’anomalia di Fassone, che non credo possa essere uomo per tutte le stagioni.

Nel momento in cui lascia il suo ruolo un grande uomo come Beppe Baresi, ecco, forse qualche riflessione andrebbe fatta, a prescindere dalle battute sul mento o sull’origine juventina. A Mancini serve al più presto un vero manager, che lo affianchi con competenza e passione. Ma dovrà guadagnarselo con i risultati, con il fatturato, con l’entusiasmo, con il ritorno a lottare per i posti che contano. L’Inter riuscirà ad arrivare al terzo posto? Chi può dirlo. Bisogna assolutamente provarci.

Già da ieri sera, nei diversi teatrini delle televisioni private, si è assistito a un attacco violento a questa Inter che spende e spande, che tradisce subito il fair play finanziario. Il rumore dei nemici è riaffiorato immediatamente. Buon segno.

Ora lasciamolo lavorare fino al derby con affetto e rispetto. Lui ha accettato una sfida pazzesca. Certo, ben pagato. Ma Roberto Mancini un ingaggio di questa entità lo avrebbe trovato comunque, almeno all’estero. E poi, siamo onesti: da ieri tutti noi abbiamo cambiato espressione. Ci sentiamo di nuovo a casa. La nostra. Bentornato Mancio.

E’ ora di imitare il bambino Filippo

Non ho mai apprezzato lo sfruttamento odioso, e a conti fatti congeniale a tutti i detrattori dell’Inter, del bimbo Filippo con quello striscione taroccato poi in mille versioni, divertenti, stupide, ironiche, volgari. E’ curioso come adesso il bambino, cresciutello, non abbia niente da obiettare di fronte agli spettacoli e ai risultati della squadra. Ma adesso, forse, quell’idea malefica potrebbe tornare buona, se applicata in massa, soprattutto in favore di telecamera, a San Siro, quando si dovesse ripetere uno scempio analogo a quello di ieri sera. Non più bambini, ma tutti, uomini e donne, giovani e anziani, ognuno con il proprio cartello, contenente la richiesta, garbata, a Mazzarri di togliersi da quella panchina al più presto.

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Niente fischi discutibili, che poi magari si pensa che demoralizzino i giocatori, così sensibili e dal cuore tenero. No, solo un simultaneo innalzar di cartelli, scritti con educazione, ognuno con un pensiero, una riflessione, un segnale di educata e civile protesta. Non so, credo che potrebbe essere efficace, e comunque consentirebbe di fotografare in modo evidente quello che adesso è lo stato d’animo diffuso nella stragrande maggioranza dei tifosi, ormai quasi rassegnati, sicuramente demoralizzati, arrabbiati, increduli.

Non ho voglia di commentare le prodezze di De Ceglie. Sono ancora offeso dalla risatina a stento trattenuta del nostro allenatore di fronte a una battuta vergognosa di Civoli, su Raidue: “Stasera aveva le elementari in campo, e l’asilo in panchina”. Un allenatore che invece di reagire e difendere i suoi, nostri, giocatori, risponde. “La ringrazio, lei lo ha capito…” e ride. Ride.

Al di là dei risultati, indipendentemente persino da un giudizio professionale su Mazzarri (sono in tanti a continuare a ritenerlo un professionista, grande lavoratore, attenti ai dettagli…) io credo che ormai il baratro che si è creato fra i tifosi e l’allenatore è talmente profondo da non poter essere colmato. La pausa per le nazionali potrebbe e dovrebbe essere il momento per un cambiamento che deve essere preso in considerazione da Thohir. Prima che sia troppo tardi.

Tifosi di lotta e di governo

Gli ultimi due risultati fanno fieno in cascina e allontanano dall’angoscia di un possibile campionato già concluso e da vivere in retrovia. Bene così. Nessun tifoso dell’Inter, onestamente, può augurarsi il tanto peggio tanto meglio. Neppure quando, come nel mio caso, si è assolutamente convinti che sia stato un errore prolungare il contratto onerosissimo a Mazzarri e non avere adesso quasi nessuna intenzione di immaginare un cambio in corsa, neppure in caso di ripetuti rovesci. Continua a leggere

La sindrome di Stoccolma

Innamorarsi del carceriere, o del carnefice. Sta succedendo e non è bello. Inter-Napoli è stata una partita per larghi tratti brutta, giocata male, fra due squadre che avevano una paura fottuta di perdere. Il quarto d’ora finale, con due errori per parte, ha provocato però il fenomeno prevedibile di una reazione emotiva, dalla disperazione alla gioia in pochi minuti, fino a concludere che in fin dei conti si è trattato di una prova d’orgoglio e dunque avanti così, che forse stiamo uscendo dal tunnel. Continua a leggere

Ridateci l’Inter

Avevo deciso di non scrivere più. Da quando avevo aperto questo mio piccolo spazio di condivisione della passione per l’Inter, la nostra squadra ha collezionato più sconfitte e pareggi che vittorie. Ero persino arrivato a pensare di essere io fra i responsabili di questa iattura. Ho scelto il silenzio, anche perché non amo davvero dilungarmi in critiche e in analisi ripetitive, dopo partite tutte uguali, prevedibili fino allo sfinimento. Speravo che durante l’estate qualcosa di fondamentale cambiasse. Così non è stato. Ho ascoltato le due ultime batoste in ospedale, come molti di voi sanno, con gli auricolari dello smartphone, e non potevo dunque neppure imprecare. A questo punto torno a balbettare qualche frase, giusto per riprendere un dialogo con voi, che vi stavate affezionando a questo blogghino senza pretese.

Oggi vi elenco molto banalmente le mie sensazioni.

1. Il gioco non esiste. Gli schemi sono pochissimi, quasi incomprensibili, e sostanzialmente basati sull’idea che il pallone corra su una fascia, e che prima o poi raggiunga una punta, che dovrebbe saltare l’uomo o passare indietro per l’arrivo in corsa di qualcuno capace di tirare in porta. Non succede quasi mai, se non contro il Sassuolo.

2. Manca un leader. L’Inter non ha un uomo squadra, capace di dettare in campo i ritmi, di rincuorare, di rimproverare, di interpretare il match in tempo reale. Non ce l’ha e non si vede chi possa diventarlo.

3. Lentezza impressionante. La circolazione del pallone è pessima. Prevedibili gli scambi corti, quasi sempre sbagliati i lanci lunghi, il gioco si sviluppa apparentemente sulle fasce, ma molto spesso ci rifugiamo in incerte trame centrali, che sono la premessa, sotto pressione, di errori fatali e di contropiedi avversari in campo aperto.

4. Giocatori imbrocchiti. Invece di migliorare, molti dei nostri stanno vistosamente regredendo dal punto di vista della tecnica individuale e dell’affiatamento collettivo. Ognuno scelga il nome che preferisce. Io non li faccio perché non credo che sia colpa loro. La condizione fisico-atletica è imbarazzante e direi addirittura incredibile.

5. Allenatore inamovibile. Mazzarri riesce ogni volta a stupirmi per il livello indecoroso delle dichiarazioni post-partita o nelle conferenze stampa di presentazione. Ma questo sarebbe niente, se vi fossero i risultati. Non oso immaginare con quale spirito si prepari ad affrontare il Napoli.

6. Società bifronte. Da un lato siamo tutti d’accordo che i conti vanno messi sotto controllo, e che è necessaria una gestione professionale e manageriale della società, orientata anche al marketing planetario. Dall’altro lato penso che la premessa dei conti in ordine siano i risultati duraturi sul campo. Un altro anno di “raccolta dati” e di classifica magra ritengo che di fatto vanifichino qualsiasi aspirazione a entrare nella “top ten” del calcio mondiale.

7. Tifosi disorientati. Non è bello che di fatto la tifoseria (curva Nord organizzata a parte) si stia ricompattando solo attorno alla richiesta-speranza che Mazzarri venga esonerato. Ma è così. Non credo che la situazione sia sostenibile in eterno. Il rischio di una progressiva disaffezione è reale.

8. Calendario difficile. Avendo clamorosamente ciccato le partite più abbordabili di inizio campionato, rischiamo grosso da qui a fine girone d’andata. L’ansia è crescente, e la sensazione che non ci siano all’orizzonte contromisure efficaci aumenta la preoccupazione.

9. Gioventù bruciata. Non c’è verso di vedere valorizzati dei giovani dando loro fiducia e anche libertà di esprimersi secondo il proprio talento. Eppure il vivaio dell’Inter è una realtà e anche adesso potrebbe offrire qualche opportunità di innesto capace di invertire la rotta.

10. Media allineati. E’ inquietante l’indulgenza dei media (giornali, tv, siti internet) nei confronti di Mazzarri. Non mi risulta in passato un trattamento del genere nei confronti di nessun nostro allenatore. Sembra quasi che vada bene un’Inter ridotta così.

Ridateci l’Inter, per favore. Una squadra tenace, compatta, simpatica, pazza e imprevedibile, ma capace, anche nei momenti più bui, di emozionarti, per una giocata, per una rimonta (rimonta?), per una prova d’orgoglio, per un talento che sboccia. Fateci uscire dal torpore, dalla noia, dal magone. Fateci sognare, almeno un po’. Fate qualcosa, ma fatelo. Adesso.

Senza bandiera

Come eravamoIn fondo siamo rimasti emotivamente al 2010. E’ naturale che sia così. Ed è giusto che un’epopea straordinaria arrivi al suo naturale capolinea. Anche troppo è durata la lenta e faticosa, tortuosa e incerta, ricerca del nuovo, del futuro, per una squadra che del sentimento ha sempre fatto sfoggio, fino alle lacrime, tanto da usare, adesso, un inno che ci commuove fin dalle prime parole, e che, per i tifosi delle altre squadre, appare sin troppo triste e struggente, quasi una marcia funebre.

Non appartengo ai nostalgici di professione, amo da sempre, nel calcio, la scoperta dei nuovi talenti, spero che questa libera passione, in gran parte irrazionale, riservi sorprese e nuovi innamoramenti. Ma il nostro, di noi interisti, è un grande romanzo popolare, un vero e proprio feuilleton, e non puoi, improvvisamente, chiudere il libro e buttarlo nel cestino, magari dopo aver strappato alcune pagine, perché non ne rimanga neppure la memoria.

Quello che sta accadendo in queste estenuate giornate di un maggio che stride dolorosamente nel confronto con quel maggio, per molti versi irripetibile, del 2010, è però qualcosa che non avrei voluto vivere, quanto meno in questo modo feroce e algido al tempo stesso. Aver affidato a Piero Ausilio, persona di grande qualità, anche umana, il compito di annunciare il distacco da Esteban Cambiasso come se fosse una notizia di carattere strettamente societario, e non un fatto emotivamente rilevante per tutti, dai compagni di squadra ai tifosi, mi ha colpito negativamente. La questione non è il mancato rinnovo al Cuchu, scelta discutibile certamente, e secondo me sbagliata, quanto il modo, ipocrita e falsamente amichevole in cui è stato comunicato, all’ultimo giorno, impedendo di fatto persino la partecipazione autentica alla festa di San Siro. Non è stile Inter, questo. Mi ricorda da vicino altri metodi, di squadre che non nomino perché in questo blog lo troverei di pessimo gusto.

D’altra parte lo stesso Piero Ausilio ha onestamente ammesso, rispondendo a un giornalista, che il problema principale adesso è la mancanza di bandiere (il ruolo di Zanetti in società lo potremo valutare solo vivendo). Il carisma se non c’è non te lo puoi inventare. L’accenno alla possibilità che la fascia di capitano vada sul braccio di un Ranocchia allegro e presente, in modo curioso, alla conferenza stampa, la dice lunga sulla necessità assoluta di inventarsi qualcosa per superare un momento di evidente incertezza, se non addirittura di sbandamento. Ranocchia è un bravo ragazzo, certo, ma non ha la grinta di un Materazzi, per restare in Italia, o di uno Stankovic, o di un Samuel che, a dire il vero, avrebbe potuto ancora costituire una buona ancora di salvezza, almeno in alcune situazioni.

La reazione quasi gioiosa di una parte della tifoseria mi ha ulteriormente colpito. E’ come se in poco tempo si sia sgretolato un elemento unificante della nostra passione, ossia la gratitudine e l’affetto per i protagonisti di una cavalcata leggendaria. E’ chiaro che il tempo è passato e il ricambio è indispensabile. Ma senza una bandiera, o più di una bandiera, il rischio è di perdere identità, tutto troppo insieme.

In questo contesto si inserisce la questione dell’allenatore. Scorrendo i post del mio blog si capisce perfettamente che io sarei felice di un suo allontanamento dalla nostra panchina. Eppure adesso, paradossalmente, mi sento di comprendere il suo atteggiamento. In fin dei conti Mazzarri è stato chiamato dai dirigenti dell’Inter e a lui si è chiesto di formare un progetto vincente sulle ceneri della passata gloria. I risultati non gli hanno certo dato ragione, ma in Europa League, per il rotto della cuffia, ci siamo arrivati. Le caratteristiche di carattere e tecniche di Mazzarri sono a tutti note, le ha persino messe per iscritto in un nefasto libro scritto assieme a un giornalista che certo non si può definire vicino all’Inter. Sappiamo dunque che ama la difesa a tre, vorrebbe scegliere giocatori idonei e al suo servizio mentale, gli piacerebbe attingere al Napoli, che è rimasto nel suo cuore, oppure a grandi nomi stranieri che gli darebbero lustro e nuova chance di gloria. Ora invece la società gli lesina il prolungamento del contratto, gli dice chiaramente che non possiamo permetterci acquisti costosi, che dobbiamo valorizzare il patrimonio dei giovani, che è meglio orientarsi verso una difesa a quattro, che è largamente diffusa in Europa (l’esempio dell’Atletico Madrid è sotto gli occhi di tutti). Bene: oggi ha ragione Mazzarri a non fidarsi di questa Inter. Rischia infatti di essere fra qualche mese accompagnato alla porta di fronte all’insurrezione dei tifosi in caso di ulteriori tracolli, magari nel preliminare di Europa League, o perfino nell’ambitissimo torneo amichevole negli Usa (che sembra stare molto a cuore al presidente Thohir, per legittimi interessi di tipo commerciale planetario). Il mio sommesso consiglio è che si arrivi a una separazione consensuale adesso, stasera, o domani mattina. Baci, abbracci, qualche lacrima di circostanza, uno champagnino e via. Perché il meglio deve ancora venire. Ma altrove.

In caso contrario ci troveremmo di fronte a una situazione straniante, con una squadra priva di bandiere, con un allenatore non convinto e mal voluto da una larga parte dei tifosi (i sondaggi nei siti, in queste settimane, sono stati impietosi ovunque). Prima che sia troppo tardi, pensateci. Io attendo, e sono emotivamente in bilico. Non mi riconosco in questi metodi, non comprendo queste scelte, faccio fatica a trovare le consuete motivazioni per una passione che si è sempre basata su una sostanziale sintonia empatica con i nostri colori. A proposito, anche la maglietta non contribuisce a sentirsi tranquilli. Le strisce nere e azzurre, quelle non toglietele. Abbiate pietà.

L’anima di Zanetti sulle spalle di Kovacic

Con ZanettiStasera non riesco a scrivere come al solito. L’emozione è stata intensa, prolungata, quasi estenuante. Prima della partita contro la Lazio, e poi durante, e infine al termine, con una apoteosi degna di entrare di buon diritto nella storia leggendaria della nostra squadra. L’Inter è un grande romanzo popolare, una saga che dura da oltre cent’anni riuscendo ogni volta a stupirci, per le contraddizioni, la passione, la sofferenza, le meraviglie, le miserie, il tifo, le imprecazioni, i fischi, le ovazioni, le lacrime, i sorrisi, i cori, gli sfottò, gli striscioni, le facce, le maglie, il sudore, la delusione, il trionfo, il riscatto, il rispetto, l’onestà, la dignità, l’amicizia, i valori, le cadute, le risalite, le attese, le speranze, l’amore smisurato. Continua a leggere

Irriconoscibili

Questo è un calvario inaccettabile. Non c’è alcuna logica in quanto sta accadendo all’Inter. Ormai appare evidente anche ai più strenui sostenitori dell’allenatore venuto da Napoli che questa squadra scende in campo del tutto prona ai suoi intendimenti tattici e completamente priva di identità e di carattere. C’era solo un modo per convincere chi, come me, da lungo tempo teorizza che la cosa più urgente da fare è quella di cacciare Mazzarri: vincere, e bene, quasi tutte le partite degli ultimi due mesi e segnatamente il derby, che, in una stagione priva di grandi ambizioni, vale da solo mezzo campionato. Sta andando tutto nel verso opposto, eppure a ogni pie’ sospinto leggiamo e sentiamo dichiarazioni che sembrano voler sgombrare qualsiasi nube e addirittura dare per scontato che l’allenatore e il suo team siano di fatto già all’opera per costruire la squadra del prossimo anno. Continua a leggere